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L'Italia migliore nello specchio delle riforme

di Alberto Orioli

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23 gennaio 2010

Non poteva non far discutere il rapporto della Fondazione Edison presentato all'Aspen e anticipato sul Sole 24 Ore di giovedì scorso. Non foss'altro perché enfatizza i punti di forza dell'Italia, paese che invece eccelle da sempre per attitudine all'autoflagellazione. Certo è l'Italia del manifatturiero e non dell'hi-tech, della moda e non delle telecomunicazioni o dell'energia. Un paese dove scuola e ricerca devono fare passi da gigante. Ma fotografare le eccellenze può servire anche a visualizzare meglio le debolezze. Per correggerle con le riforme.

Del resto, forse non era solo una singolare coincidenza che, mentre all'Aspen si dibatteva sul ruolo dell'Italia nel G-20, alla Bocconi si discutesse di competitività e del grande potenziale del made in Italy (studio di Maurizio Dallocchio per Centro Findustria, Centromarca e Fondazione Illy) anche come giocatore di punta nel nuovo settore dell'economia verde. Né era solo una coincidenza di calendari se 24 ore prima toccava al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla consegna del premio Leonardo – uno dei molti oscar per l'eccellenza italiana – ribadire che «siamo un paese vivo, che si batte con tutte le sue energie, che ha tante risorse da spendere», risorse che la politica deve tradurre in azione e governo.
Il Riformista ha colto il senso della discussione e ha pubblicato i pareri di economisti autorevoli. Paolo Guerrieri ha sottolineato come per ricchezza pro capite siamo indietro (al 28° posto nel mondo) mentre Alberto Bisin ha messo in evidenza come l'alto tasso di risparmio privato sia un segnale non sempre e non solo positivo perché è conseguenza di un sistema di finanziamento asfittico e inefficiente. L'Italia resta comunque in cima alle classifiche sulla qualità della vita, esce dalla crisi senza tensioni sociali e, quanto al Pil pro capite, resta saldamente l'ottavo paese del G-20. Poco importa se nelle classifiche ci sorpassano i paradisi fiscali o Macao: siamo sicuri che sia quello dei casinò il modello di sviluppo auspicabile?

Quanto al sistema finanziario, è vero che ha avuto conseguenze marginali dalla crisi mondiale perché "provinciale", ma è anche vero che nel mondo tutti hanno capito la grande lezione della crisi: le banche devono stare vicine al territorio, commisurare i rischi al vero potenziale di sviluppo dei progetti finanziati e "perdere peso". La miopia strategica degli istituti italiani è stata una fortuna: ora le banche devono contribuire a lanciare le economie e le imprese locali e a convogliare la grande massa del risparmio privato in impieghi produttivi.
La consapevolezza che siamo leader nell'export dei prodotti della dieta mediterranea non è sufficiente – come sottolinea Il Riformista – per indurre a una visione non catastrofista del futuro dell'economia italiana. Semmai è la consapevolezza che resistono eccellenze sofisticate come quelle della meccanica (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) dove alto è il valore aggiunto e il contenuto di tecnologie e innovazione. Per non parlare del peso dei distretti (tradizionali e non) che – si pensi solo alle 4 A: agroalimentare, abbigliamento, arredo-casa, automazione meccanica – portano a sorprese forse troppo sottovalutate nei certificati di costituzione fisica del nostro paese: l'alimentare e le bevande made in Italy, ad esempio, da sole sono state a lungo in grado di generare un valore aggiunto pari a quello dei mitici telefonini tedeschi e finlandesi messi insieme (ora, dopo la grande crisi, questa uguaglianza è superata, ma lo scostamento è comunque piccolo). Continuiamo? Pochi sanno che il business italiano della meccanica non elettronica e dei mezzi di trasporto che non comprendano gli autoveicoli è superiore a quello di tutta la farmaceutica d'Europa. E che dire del fatto che la moda italiana crea più valore aggiunto delle produzioni aerospaziali di Francia, Germania e Gran Bretagna insieme?

Non servono né atteggiamenti da Alice nel paese delle meraviglie, né borbottii alla Bartali sul "tutto da rifare". Il rilancio di un paese e della sua economia passa dalla lucidità nell'analisi dei problemi, dalla prontezza con cui si predispongono i rimedi e dal livello di consenso che si raccoglie sui nuovi obiettivi.
Ci sono punti di eccellenza e debolezze che preoccupano, come quelle sugli investimenti in tecnologie, così paradossalmente bassi nel paese che ha più telefonini al mondo e non trova nemmeno i fondi per la diffusione della banda larga; o la drammatica maglia nera nell'energia che denuncia un paese totalmente in balia dei potentati mondiali delle materie prime.
Anche sullo stato sociale – che pure è stato uno dei migliori parabordi della crisi durante il dispiegamento dei suoi effetti più tragici sul mercato del lavoro – si può eccepire. E molto. Lo fa Daniela Del Boca quando spiega che in Italia la sola previdenza si mangia l'80% delle risorse. Che vengono quindi sottratte alle politiche per le nuove generazioni e per la famiglia. E non a caso da qualche mese non si parla d'altro che di riforma degli ammortizzatori sociali e del riequilibrio tra generazioni del sistema di welfare.
  CONTINUA ...»

23 gennaio 2010
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